Thriller

Paola Barbato, Io so chi sei, Piemme
Paola Barbato, Zoo, Piemme

Due thriller complementari, che si sviluppano in parallelo come facce opposte della stessa vicenda e che confluiscono in un finale comune da cui si origina il terzo volume “Vengo a prenderti” che non ho ancora letto. 

Quantunque l’autrice abbia dichiarato in un’intervista che siano pensati come romanzi autonomi, leggibili in ordine sparso e indipendenti rispetto alla trilogia, da lettrice mi sento di dissentire su entrambi i punti. Attualmente, come dicevo, sono ferma al secondo volume e i nodi dell’intreccio sono risolti solo parzialmente, inoltre consiglierei in ogni caso di seguire l’ordine di pubblicazione perché i nessi logici sono, a mio parere, più incisivi.
L’unico neo che riscontro nel procedere secondo quest’ordine sta nel fatto che “Io so chi sei” è, sempre a mio modesto avviso, meno avvincente rispetto al seguito ed è possibile che questo scoraggi alcuni dal proseguire. 

Del primo è protagonista Lena, vittima del gioco sadico di uno sconosciuto che facendo leva sulla scomparsa del fidanzato, dichiarato morto e mai ritrovato, riaccende le sue speranze in un sottile gioco ricattatorio.
Malgrado la relazione con Saverio fosse un rapporto malato, che l’aveva allontanata dalla famiglia borghese e dagli amici di infanzia, a distanza di due anni quel legame esercita ancora un grande potere su di lei. La sua vita gravita intorno all’anziano molosso di cui si occupa senza trasporto unicamente per onorare la memoria del fidanzato e a una serie di amici squinternati e mezzi delinquenti ereditati tra le file degli estremisti animalisti che Saverio frequentava.
Lena, che chiaramente soffre di un disturbo di dipendenza, così come era stata succube nella relazione con quel fidanzato tanto rimpianto quanto detestabile, allo stesso modo lo diviene rispetto alle richieste sempre più estreme che le arrivano dal misterioso rapitore.
Quante persone accetterà di danneggiare nella speranza di liberare Saverio?  E più in generale, fin dove si è disposti a spingersi per raggiungere il proprio obiettivo? A quanti ricatti si è disposti a cedere?
La risposta non è uguale per tutti ma, tristemente, in questa storia non esistono buoni e cattivi semplicemente perché non ci sono buoni e ciascuno persegue in primis i propri interessi egoistici. Persino il poliziotto che compare a metà del libro e come un deus ex machina dovrebbe prendere in mano la situazione è un violento a cui la legalità sta stretta.

Dal punto di vista strutturale questo primo volume non mi ha convinto -a tratti macchinoso e popolato da personaggi per certi versi caricaturali- per cui ho approcciato il secondo con aspettative moderate ma sono stata premiata da un approccio per nulla scontato malgrado, o forse in virtù, della fissità del contesto che, in assenza di una vera e propria azione, ha come unica prospettiva quella dell’approfondimento sociologico. 

Nel secondo romanzo infatti ci spostiamo nell’habitat del rapitore, in un capannone stipato di gabbie da circo in cui una dozzina di uomini e donne vengono tenuti prigionieri. Tra loro vi è anche Saverio ma il focus è anche questa volta al femminile e la protagonista è Anna che si risveglia in una di queste gabbie e per tutta la durata del romanzo -e quasi 400 pagine di cattività non sono poche- polarizza senza fatica l’attenzione del lettore solo attraverso le sue interazioni con i compagni di prigionia. Mentre Anna impara a suo spese le regole non scritte di quel terrificante serraglio umano, si alternano in lei sentimenti di rabbia e disperazione, disgusto e crudeltà ma a tenerla in vita è la tenace determinazione a trovare una via di fuga e a non piegarsi alla rassegnazione. Tra i reclusi serpeggia la consapevolezza di essere stati scelti a causa delle loro cattive inclinazioni, di aver in qualche misura meritato la punizione che stanno espiando e ognuno trova una sua dimensione di sopravvivenza, chi obbedendo e chi opponendosi alla logica perversa del loro carceriere che da un lato sembra metterli alla prova e dall’altro li punisce istigandoli l’uno contro l’altro. 

I buoni  in senso stretto, non sono pervenuti nemmeno in questo secondo capitolo.
Il rapitore gioca una doppia partita, con chi è libero, stretto nel vincolo del ricatto, come Lena, e con chi è rinchiuso ma la logica sottesa resta la stessa: mors tua, vita mea.
Le considerazioni sui personaggi sembrano dar ragione a Hobbes, ognuno è in lotta per sopravvivere, le alleanze sono transitorie e finalizzate a scopi personali.
Pur tenendo conto del fatto che l’atmosfera di efferato e costante abbrutimento non ne fa un libro per tutti, direi che “Zoo” è un thriller di gran lunga più riuscito, sia sul piano dell’equilibrio del racconto che su quello della tensione narrativa. E difatti, nonostante non vi siano grandi colpi di scena e il racconto sia circoscritto alle giornate di prigionia e alle dinamiche tra reclusi, non ha cadute di ritmo. Avrei potuto scrivere che intrattiene il lettore ma no, non posso proprio usare il termine intrattenere vista la crudezza delle tematiche.

Per il capitolo finale mi prendo una pausa ma nel frattempo, se siete amanti dei thriller a tinte forti, potete trovare ispirazione anche  qui, qui, qui e qui.

Viv