La Russia di Putin

Anna Politkovskaja, La Russia di Putin, Adelphi

Ci sono libri necessari, necessari e terribili.
Libri che, come questo di Anna Politkovkaja, sono un pugno nello stomaco, in ragione dell’assassinio di cui è stata vittima a causa della sua esplicita opposizione al regime e ancor di più alla luce della tragedia che si sta consumando in Ucraina.

Eppure mai come adesso, mentre la politica vetero imperialista di Putin bussa alle porte dell’Europa con una guerra in cui si fronteggiano due opposte visioni del mondo, abbiamo il dovere morale di scegliere le fonti a cui informarci, scegliere se vogliamo stare dalla parte della democrazia, con tutti i suoi limiti, o della dittatura, dalla parte della legalità o dell’abuso.

Faccio questa premessa perché la guerra di oggi è figlia di un abuso – i politologi dell’ultima ora sembrano per lo più essersi dimenticati dell’esistenza dell’accordo di Budapest del 1994 – e discende in linea diretta dall’acquiescenza dell’Occidente verso Putin e dalla progressiva sfiducia del popolo russo nella giustizia e nella possibilità di un cambiamento.

A partire da una serie di episodi Politkovkaja racconta la struttura di un esercito e di un sistema giudiziario corrotti, dà voce ai cadaveri abbandonati, ai morti senza nome, ripercorre dall’interno la strage di stato nel teatro di Dubrovka e nella scuola a Beslan.
Per sua stessa ammissione il suo è un “libro di appunti appassionati a margine della vita come la si vive oggi in Russia” (ricordiamo che terminò di scriverlo nel 2004 e che venne assassinata due anni dopo, il giorno del compleanno di Putin) e non vuole essere un trattato di politologia né una biografia di Putin, a cui dedica l’ultimo capitolo, il più breve.

In Italia, dove fascismo e mafia sono la culla di un impoverimento culturale che va avanti da decenni, non si contano i politici che hanno strizzato l’occhio alla grande Madre Russia, politici di estrema destra, sinistra radicale, populisti ed euroscettici che di volta in volta hanno veicolato la necessità di uscire dalla NATO e dall’eurozona a favore di un avvicinamento all’orbita putiniana.

Dal canto loro i russi, che da decenni subiscono la violenza dell’esercito e di un regime iniquo in cui la giustizia è un mantello dell’invisibilità che protegge secondo uno schema feudale gli interessi cinici, economici e personali, dei vassalli di Putin non avrebbero esitazione alcuna nello scegliere per sé quella libertà che qui in Occidente diamo, sbagliando, per scontata.

Non è una lettura di cui ci si libera facilmente ma esiste una responsabilità morale che esige un coinvolgimento superiore alla raccolta di viveri per i profughi ucraini.
Lavorare per la pace significa soprattutto cercare la verità.

Viv

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