Irène Némirovsky, L’orchessa e altri racconti, Adelphi
Irène Némirovky, L’orchessa e altri racconti, Adelphi
Diciamo pure che con Irène Némirosky è difficile restare delusi ma questi racconti sono un distillato di piccoli capolavori.
La scrittura asciutta, a tratti teatrale, la forma elegante, l’analisi chirurgica dei sentimenti è in grado di trasportare con assoluta immediatezza in quei luoghi lontani, spesso appartamenti borghesi, in cui si muovono i personaggi di questi nove racconti.
Quello che presta il nome alla raccolta, tra tutti, è il racconto in cui si riflette maggiormente il difficile rapporto che l’autrice ebbe con la figura materna.
Protagonista è una madre, “orchessa” nelle pesanti forme sgraziate e più ancora nella determinazione famelica con cui esercita il suo dominio sulle figlie.
Con la dolcezza spietata di una narcisista costruisce prima per l’una e poi per l’altra un destino di fulgidi successi artistici, quelli che sognava per sé, senza curarsi delle loro inclinazioni e dei loro desideri, facendo appello al dovere filiale e ai sensi di colpa.
Quante ore passate a correggere un’intonazione, una postura. Ah, sapesse la pazienza! “Ma le altre bambine non fanno queste cose, mamma” diceva. Io le rispondevo: “Le altre sono bambine normali, mentre io voglio che mia figlia sia eccezionale. (…) E poi, insomma, se non vuoi farlo per te, fallo per me e per tua sorella: sai bene che vivo solo per i tuoi successi”.
Sorda di fronte all’insuccesso e persino alla morte, si limita con pragmatica noncuranza a spostare le sue aspettative su una nuova vittima.
In generale ritroviamo nei racconti le tematiche care all’autrice: la disillusione, il tradimento, il rimpianto per la gioventù ormai trascorsa, il divario generazionale che spinge i figli a supporre che i genitori non siano in grado di comprendere i turbamenti dell’amore, che non li abbiano mai vissuti. Si respira la malinconia della vecchiaia accanto alla vita che si schiude con tutte le sue promesse.
Ho scelto di dedicare spazio ad altri due racconti seguendo motivazioni del tutto soggettive.
Ne “La partenza per la festa” assistiamo al lutto silenzioso di un uomo che piange la sua amante di sempre senza poter esplicitamente condividere il suo strazio con figli e consorte.
Da un lato la moglie, alla notizia della morte della rivale, sospira con cinico sollievo immaginandosi d’ora in avanti come il solo punto di riferimento di un marito avviato verso la malattia e la vecchiaia e non sospetta che il marito a sua volta prefigura e paventa esattamente lo stesso scenario.
Quando l’età e la malattia l’avessero ridotto alla sua mercé, allora lei si sarebbe vendicata. Lo avrebbe tenuto costantemente accanto a sé. Lo avrebbe soffocato di attenzioni. Sarebbe rimasta con lui giorno e notte. Lo avrebbe defraudato dei suoi pensieri, dei suoi sogni. Si sarebbe resa indispensabile. Lo avrebbe costretto ad amarla, svilendo così la sola cosa che gli restava: il ricordo della sua i fedeltà, della sua libertà.
La più piccola tra i figli, la preferita del papà, scopre invece in quel momento che il mondo del padre non ruota intorno al suo benessere, che quella stessa tenerezza a cui è abituata può trasformarsi in disinteresse e che, anche sotto la superficie più amorevole possono celarsi segreti a noi ignoti e oceani, abissi di indifferenza nei nostri riguardi.
Non posso infine non dedicare due righe a “Ida”, fotografia dolce-amara di una diva del varietà in declino, ritratta in modo crudo ma non senza accenti di compassione, proprio nel momento della caduta, sotto le luci impietose della ribalta.
Si tratta di un racconto minore a cui tuttavia sono legata perché, quando ancora non era disponibile la versione italiana, un amico che conosceva il francese, a sua volta ammiratore della Némirovky, mi fece dono della traduzione.
E per la sezione “curiosità non richieste” vi rivelo quale sia stato il racconto che mi fece scoprire la bellezza essenziale di questo genere letterario e vi rimando a questo link dove potete leggere “L’avventura di due sposi” di Calvino.
Viv