Rubén Gallego, Bianco su nero, Adelphi
Racconto autobiografico dell’infanzia di Rubén Gallego, tra orfanotrofi, ospedali e ospizi della Russia degli anni Settanta.
Nato con una paralisi cerebrale che gli inibiva l’uso di braccia e gambe, venne affidato alle cure dello Stato a meno di due anni e visse nascosto agli occhi del mondo fino ai ventidue, quando riuscì a fuggire dall’Istituto in cui era rinchiuso.
Malgrado le premesse la lettura scorre velocissima, almeno per i due terzi del volume, in brevi sequenze di ordinaria follia: un paio di facciate per l’inserviente impietosa, per l’assistente caritatevole, per i compagni di sventura, per i rari momenti di felicità, per i piccoli atti di eroismo che consentono di sopravvivere in condizioni disumane.
Questa narrazione ad episodi, che tende ad accentuare la sensazione di un vissuto fuori dal tempo e dallo spazio, prosegue inalterata fino alla fine del romanzo ma nell’ultima parte viene avvertita come eccessivamente frammentaria e priva di coesione.
Se sul piano strutturale e letterario presenta qualche falla, il romanzo è innanzitutto la testimonianza coraggiosa di un superstite, un predestinato a morte che sfuggì al prematuro ricovero in un ospizio per adulti non autosufficienti -in cui erano morti, per fame e mancanza di accudimento, tutti gli adolescenti con cui era cresciuto in orfanotrofio- solo grazie ad un guasto ai frigoriferi.
Avete letto bene. Il direttore dell’ospizio paventava che in quella struttura il bambino si sarebbe spento in capo a pochi mesi e poiché per legge non gli sarebbe stato consentito seppellirlo fino alla maggiore età non avrebbe saputo come conservare la salma nell’attesa.
Pagine che grondano brutalità e coraggio scritte in un linguaggio sbrigativo, che fotografa una realtà spiacevole senza cercare di suscitare la pietà del lettore.
Il confine tra la vita e la morte è una linea sottile quando la sopravvivenza dipende dall’accudimento altrui.
Quando la disabilità fisica viene equiparata ad un ritardo mentale, ad un difetto di natura da occultare o si diventa eroi o si muore, come conclude il piccolo Rubén nelle prime pagine.
Avere bisogno dell’aiuto altrui è quanto di peggio, quanto di più tremendo ti riservi la vita.
Viv
Da aggiungere all’elenco inenarrabile di libri già in attesa! Grazie per avermelo fatto conoscere 🙂
Un bacio!
Se la tua lista è come la mia siamo a posto! 🙂
Mamma mia… Dal titolo pensavo si trattasse di uno dei tuoi eccellenti lavoretti di maglia e invece… una lettura da brividi!
Buona giornata, cara 🙂
Non ci avevo pensato! In effetti il titolo del post era ingannevole 😉
Una storia drammatica, il tuo post ha suscitato in me molto interesse e vorrei immergermi tra quelle pagine certo cupe e dolorose ma che rispecchiano una tragica realtà.
Dove c’è autobiografia la mia curiosità aumenta, dev’essere un gran libro e lo leggerò di sicuro, non a caso è pubblicato da Adelphi che ci riserva spesso notevoli perle.
Gran recensione la tua, già dall’incipit ci si affeziona alla vicenda epica di questo ragazzino che riesce a sfuggire al suo destino.
Grazie Viv, un abbraccio.
Dal punto di vista letterario ha qualche pecca ma si legge davvero in un fiato e colpisce la crudezza di certe realtà così lontane dalla nostra infanzia più o meno dorata. Unbacione
una storia da conoscere. Ma come ha fatto a “scappare” senza potersi muovere? La storia dei frigo poi è terribile… In quegli anni anche io ero bambina. Il luogo in cui nasciamo non è secondario per le nostre vite
La narrazione si interrompe prima della fuga, un errore secondo me. Se non ricordo male quel che ho letto nella biografia dev’essere fuggito a bordo di un furgone immagino con l’aiuto di qualche inserviente. Un destino tragico, non solo per la disabilità ma anche, come giustamente sottolinei, per il luogo di nascita che spesso fa tutta la differenza.
Una storia che prende! Io ho appena finito “gli anni al contrario” sempre ambientato negli anni ’70, ma ora ho deciso che leggo qualche cosa di maledettamente stupido, ogni tanto ci sta, non credi?
Direi di sì 😉
Direi che è un libro impegnativo, ma come tutti i libri un po’ autobiografici prende il lettore e lo trascina nel suo mondo e ci si affeziona. Aumenta la lista…
Certamente la vicenda è di quelle che non lasciano indifferenti…
Cavoli Stravy che lettura! Sicuramente interessante e ti tiene attanagliato li fino alla fine nella sua drammaticità. Trapela dalle tue parole il suo essere parecchio toccante. Non lo conoscevo. Dopo “Più forte dell’odio” di Guènard sarà probabilmente un’altra di quelle letture dolorose che divorerò. Grazie. Un abbraccio.
Sicuramente è impossibile leggerlo senza riflettere sulle piccole grandi fortune che diamo per scontate.
Anch’io mi aspettavo di vedere un bel lavoretto, magari uno scaldacollo bicolore o una nuova borsa shopping. Che racconto traumatico. In questo momento mi ci vorrebbe qualcosa di piú leggero.
Anche a me 😉
Le tue letture, di certo, non sono a senso unico. Variano dal bianco al nero…
Difficile commentare un testo che io, onestamente, non avrei la forza di affrontare.
Un caro saluto.
Nicola
Eppure, ti dirò, è stata una lettura niente affatto gravosa.